-2- Skanderbeg e Bessarione e i Greco-Albanesi d'Italia In evidenza

Alla chiusura del Concilio di Ferrara-Firenze nel 1443, quando con la bolla “Laetentur Coeli” fu proclamata l’unione delle due Chiese Bizantina e Romana, si supponeva che le potenze cristiane sarebbero scese in guerra contro i Turchi. Ma la mobilitazione non avvenne ed in guerra scese solo il re d’Ungheria Ladislao accompagnato dal Legato Pontificio Cardinale Cesarini con l’esercito guidato da Giovanni Hunjadi, che contava 10.000 uomini, con armatura pesante. Ma nella infelice battaglia di Varna nel 1444 l’Hunjadi fu sconfitto e morirono anche il re d’Ungheria ed il Cardinale Cesarini. Nello sconforto che ne conseguì giunse tuttavia la notizia della vittoria di Torviolo nello stesso anno conseguita da Skanderbeg contro l’esercito turco che nel frattempo era arrivato in Albania. Skanderbeg mandò in tutta Europa tende ed insegne turche e code di cavallo che aveva conquistato in quella battaglia. Almeno c’era stato qualcuno che aveva sconfitto un esercito turco. Ma dopo quattro anni la situazione era ancora grave. L’Hunjadi era di nuovo stato sconfitto nella battaglia del Kossovo del 1448 e Murat II col suo esercito di 300.000 uomini si era presentato in Albania. I grandi sforzi diplomatici che la Chiesa faceva in tutta Europa ottenevano solo risultati di natura economica nella raccolta di fondi per la crociata che venivano distribuiti tra i principi cristiani. Tutti erano in allarme, ma in quel momento sul fronte attivo c’era solo Skanderbeg con alcuni aiuti da Venezia, Roma e Napoli. Alfonso V si accordò con lui per costituire sulla sponda adriatica del suo regno una retroguardia alle spalle dell’Albania per difendersi da eventuali infiltrazioni turche o anche angioine, dati i pessimi rapporti esistenti tra il re di Napoli e la Francia che avrebbe potuto approfittare della minaccia turca per rinnovare le sue rivendicazioni.

Skanderbeg dunque in quel frangente mandò in Italia un corpo di 3.000 uomini, un quinto di tutte le sue forze, per collaborare con le truppe aragonesi e con quelle pontificie. Il corpo militare mandato da Skanderbeg agli ordini di Demetrio Reres e dei suoi 2 figli Giorgio e Basilio si attestò in Puglia, in Calabria e in Sicilia.

Abbiamo raccolto le notizie che siamo riusciti a trovare sui movimenti del corpo di 453 soldati, con almeno alcune famiglie al seguito, che si andarono distribuendo in Sicilia alla ricerca delle posizioni strategiche più opportune. La loro prima sede fu il casale di Bisir presso Mazara, in un feudo anticamente bizantino di 12.000 ettari di ottime terre distribuite ai soldati in ragione di circa 20 ettari ciascuno. Da Bisir costituirono postazioni a Torre Manuzza nell’attuale parco archeologico di Selinunte ed a Erice in posizione sovrastante Trapani, nella zona dove ora è solo rimasta la loro probabile chiesa di S. Nicola. Seguendo poi l’antica via percorsa dagli Arabi nella loro penetrazione nell’interno della Sicilia a partire dall’827, si spostarono prima a Contessa Entellina nel 1450, e poi a Palazzo Adriano, con le relative famiglie. Questo paese si trova in quello che era il crocevia delle due principali vie dell’interno dell'isola, abitualmente percorse, fin dal tempo degli antichi Romani, da tutte le forze militari che hanno agito in essa nel corso dei secoli. Una di quelle due vie collegava Palermo con Agrigento, e l’altra collegava la Sicilia occidentale con quella orientale, fino a Catania, alle spalle della catena montuosa settentrionale sicula. Da Palazzo Adriano, diventato così “casale castrum” dove costruirono la loro prima cittadella, sul colle di S. Nicola, di eccezionale rilievo urbanistico-militare, difensivo e democratico come le altre che poi seguirono, oggetto di molti studi da parte delle Facoltà di Lettere e di Architettura dell’Università di Palermo, e dove posero la principale residenza delle loro famiglie, si andarono distribuendo in numerosi altri posti di cui abbiamo notizia, tutti in vista l’uno dall’altro, con possibilità di  segnalazioni col fuoco e col fumo ed anche con il kustrim (chiamata a voce alle armi) allora in uso , più o meno alla distanza di un giorno di strada di cavallo, cioè circa 50 km. Dal 1448, all’arrivo di Murat II in Albania, dove egli trovò accanita resistenza, Skanderbeg dunque era al centro dell’attenzione del mondo cristiano. Uno dei principali esponenti della diplomazia pontificia presso le varie corti d’Italia e d’Europa era Giovanni di Trebisonda Cardinale Bessarione, vescovo niceno, già principale rappresentante delle Chiese orientali al concilio di Firenze. Egli era stato nominato abate commendatario del monastero di S. Maria di Grottaferrata e di quello di S. Salvatore di Messina, allora due dei principali centri del bizantinismo in Italia. Nel 1449, un anno dopo l’arrivo degli Albanesi a Bisir, egli fu anche nominato vescovo della città di Mazara e titolare del grande feudo annesso al casale di Bisir, detto casale del vescovo, di cui abbiamo parlato, che veniva distribuito agli Albanesi. Il Bessarione divenne così il primo vescovo a cui facevano capo gli Albanesi allora giunti in Sicilia e titolare del feudo ad essi assegnato. Rimangono ancora i documenti dell’amministrazione di quel feudo tenuta dal Bessarione, radunati in cinque volumi. Questo primo incontro diede l’avvio ad una secolare serie di rapporti tra gli Albanesi di Sicilia e l’ambiente bizantino di Messina, dove si andava radicando l’eredità culturale del cardinale Bessarione ed in seguito di Costantino Lascaris e di tanti altri. Nello scorrere dei secoli questo ambiente finì coll’essere sostenuto dai Greco-Albanesi di Sicilia fino al terremoto che distrusse questa città nel 1908. Recentemente il sottoscritto ed altri abbiamo cercato di riprendere questi antichi rapporti. Skanderbeg e Bessarione sicuramente avevano notizia l’uno dell’altro. Ci sono dati pubblicati da padre Giuseppe Valentini negli Acta Albaniae Veneta riguardanti dei riferimenti di Bessarione a Skanderbeg. Essi si svolsero nell’ambito degli intensi e noti rapporti dello Skanderbeg con la Santa Sede al tempo di Callisto III (1453-1456), in occasione della Dieta di Mantova del 1459, della venuta di Skanderbeg in Italia contro i baroni ribelli del regno di Napoli nel 1460 e contro il principe Giovanni Orsini di Taranto, in occasione dell’invito della Santa Sede fatto a Skanderbeg nel 1463 di rompere la tregua da lui stipulata con Maometto II ed anche in occasione dei rapporti della Santa Sede con il re di Francia nello stesso periodo ed in tante altre numerose e rilevanti occasioni, la più importante delle quali fu certamente quella del 1464 quando Skanderbeg fu nominato da Pio II capitano generale dell'armata cristiana contro i Turchi, che però non si radunò. Dei Francesi Skanderbeg aveva scritto, con sue precise motivazioni: “questo vostro re dei reali di Francia non lo conosco e non lo voglio conoscere nè tenere se non per nemico” e ne erano conseguite azioni militari in Italia non favorevoli alla Francia.

Ma in Sicilia si intrecciarono i rapporti tra gli eredi di Skanderbeg e quelli di Bessarione destinati a protrarsi nei secoli. Il Bessarione provvide alla cura religiosa degli Albanesi quivi giunti che dipendevano da lui sia religiosamente che economicamente ed inviò alcuni loro giovani a studiare nel monastero di S. Salvatore di Messina. Di essi si ricorda un certo Figlia originario di Palazzo Adriano divenuto poi parroco a Piana degli Albanesi. Così questo monastero divenne il primo centro a cui fecero capo gli Albanesi di Sicilia, meglio detti Greco-Albanesi, fin dagli inizi del loro arrivo in quest’isola. L’usanza instaurata con il Bessarione e durata fino all’anno della sua morte, nel 1479 poté anche godere della celebre attività di Costantino Lascaris, del quale tra i Greco-Albanesi di Sicilia si tramanda ancora nome e cognome, e di altri che gli successero dei quali parla il Rodotà. Il Bessarione sostenne quattro principali filoni di attività:

La difesa dell’oriente cristiano pesantemente minacciato dai Turchi, attraverso le vie diplomatiche e culturali.

La presentazione della Chiesa Bizantina, nei suoi aspetti teologici e rituali, talvolta soggetti ad equivoci ed incomprensioni.

La prosecuzione del tentativo di unione tra le Chiese.

Il sostegno alla cultura classica sia greca che latina e la cura della sua diffusione.                                                                     

Quest’ultimo punto costituiva una specie di supporto agli altri tre, quello di più facile accesso e quello che lasciò tracce più durature nell’Europa dell’umanesimo ed oltre. Infatti sia la Santa Sede che il regno di Napoli ed altri Stati d’Italia ed in seguito anche dell’Europa si dedicarono a lungo alla cura della cultura classica non solo per i valori intrinseci che essa presentava ma anche sotto forma di sostegno all’oriente ed ai profughi che arrivavano in occidente in seguito all’espansione turca tra i quali il Pletone, il Calcondila, gli stessi Bessarione e Lascaris e tanti altri. Sostenendo questi e la cultura che rappresentavano assieme a quella latina, si ravvivava la coscienza e la cura della propria civiltà e della tradizionale cultura dell’occidente e dell’oriente per tenere vive importanti motivazioni della lotta contro i Turchi assieme a quelli della comune difesa anche personale. Del resto così pure si è fatto e si fa in altre occasioni quando si presentano ed emergono forze ostili spesso non conciliabili con la religione e che quindi contrastano la propria identità mediterranea e cristiana. Infatti la cultura classica sia greca che latina in gran parte si è trovata conciliabile con il Cristianesimo specialmente ad opera dei Santi Padri delle due Chiese. Comunemente anche si riconosce il grande contributo dato dai monasteri medioevali nella conservazione, moltiplicazione e trasmissione dei codici classici e dei loro contenuti. Lo stesso Bessarione investì gran parte dei rilevanti proventi di cui godeva nell’acquisto e nella riproduzione di circa 650 manoscritti della tradizione culturale sia greca che latina che poi regalò a Venezia. Con essi si formò il primo nucleo della Biblioteca Marciana, nella quale il nome del Bessarione si perpetua con onore, come anche nella letteratura italiana dell’umanesimo dove ha lasciato traccia come filosofo di ispirazione platonica. Ma mentre in Italia sopravvive il ricordo del Bessarione, tra i Greco-Albanesi di Sicilia ne sopravvive finora l’ispirazione operativa. Lo stesso avviene per la figura dello Skanderbeg. Rimangono costantemente vive ed attive le tematiche da essi sostenute, anche quando talvolta gli stessi nomi e le personalità di questi due corifei sono stati o trascurati o addirittura incompresi e quasi dimenticati. Rievocarne quindi la memoria, approfondendone anche la conoscenza significa individuare meglio le radici e le linee di sviluppo della stessa cultura greco-albanese d’Italia e la sua non indifferente presenza ed influenza nella stessa, attraverso figure come Crispi, Sturzo, Mortati e tanti altri.

Dello Skanderbeg, del cui nome prevalentemente s’impossessò la leggenda che in genere ingrandisce i ricordi, si celebrano sempre la sua abilità di condottiero e le sue vittorie contro i Turchi; ma da quando il ricordo della sua personalità è stato ripreso in considerazione dal punto di vista scientifico nell’ambito degli studi storici, ne è emerso che le dimensioni di questa figura superano le stesse proporzioni conservate dalla leggenda. Skanderbeg infatti non è solo il prode guerriero o l’eroe nazionale di un piccolo popolo, o di un certo numero di paesini fondati da profughi o da colonie di origine militare che a lui fanno capo. Non per nulla, mentre ogni popolo erige statue ai suoi figli illustri, Skanderbeg rappresenta uno dei pochi casi in cui un personaggio politico o militare abbia statue erette anche da popoli differenti dal suo. E come mai? L’aspetto militare presso i Greco-Albanesi di Sicilia è rimasto vivo in funzione antiturca fino alla battaglia di Lepanto, nella quale essi si distinsero con onore. Poi continuò nelle loro attività secolari nella difesa di rive del mare, nella custodia di passi e castelli, e nella gestione di feudi come amministratori e campieri, fino alla prima metà del secolo scorso e al sorgere dell’opera di Crispi e di Sturzo. Ma assieme a questa attività militare i Greco-Albanesi di Sicilia ne condussero altre due che fanno immediatamente capo alla figura di Skanderbeg, ai suoi più vicini collaboratori e alle principali famiglie nobiliari d’Albania, di cui si sono tramandati finora, per quasi seicento anni, nomi e cognomi come ce li segnala il Barlezio e come risultano nei registri parrocchiali di Palazzo Adriano, dove la maggior parte di essi si rifugiarono alla caduta dell’ultima roccaforte albanese, quella di Scutari, nel 1479. Fin dal 1450 i soldati mandati da Skanderbeg in Sicilia costruirono i loro centri, ed in particolare quello allora più rilevante, con una struttura urbanistica militare-difensiva e democratica, costituita da cittadelle contigue molto complesse che hanno suscitato l’ammirazione di vari studiosi. Qualcuno di essi, il Prof. Giuseppe Carta ordinario di urbanistica all’Università di Palermo, per quei suoi studi ha anche ricevuto un premio di portata nazionale. La fama di quelle importantissime strutture urbanistiche che sembrano uniche in Europa, si va diffondendo e il paese dove principalmente si possono ammirare è diventato un frequentato centro di turismo culturale. Il profondo senso di democrazia che emerge da quelle strutture urbanistiche corrisponde a ciò che si sa del comportamento di Skanderbeg e della sua Lega di Alessio, attraverso dati tangibili e da tutti apertamente visibili, costituiti dalle relative pietre. E il discorso delle pietre è certo molto solido.

Ma i dati storici ed urbanistici sul tipo di democrazia e sulla sua ispirazione religiosa, testimoniati da Skanderbeg e dal suo ambiente, trovano corrispondenza e conferma in vari decenni di lotte giudiziarie di un intero paese e nel corrispondente grande fondo documentario che le riguarda. Su di esso nel secolo scorso si sono andati moltiplicando gli studi e le pubblicazioni, tuttora in via di approfondimento. Si tratta delle lotte di Palazzo Adriano contro i baroni Opezinghi per la difesa dei suoi capitoli di inabitazione. Essi mostrano la complessa vicenda di tutte le conferme loro date dalle principali autorità religiose e politiche del tempo, dai papi ai re e viceré, e di tutte le lunghe lotte sostenute e per difenderli fino alla vigilia della rivoluzione francese, in ultimo anche attraverso i profondi interventi del viceré Caracciolo.

La portata di questi capitoli e del codice di leggi e di consuetudini che ne emerge assume proporzionale rilievo attraverso l’opera delle persone che da essi trassero ispirazione. Primo di essi fu Giuseppe Alessi, capo della rivolta di Palermo e di numerosi altri centri, del 1647. Egli cercò di organizzare secondo i loro principi l’amministrazione dei centri in rivolta. La stipula dei suoi 49 capitoli, meritevoli di molta attenzione, che anticiparono di 150 anni alcuni dei principi della rivoluzione francese, presenta la prima istanza sociale dell’Europa moderna. Quei Capitoli a loro tempo furono considerati pericolosi per la monarchia spagnola. Ma ciò che con quei 49 capitoli allora fu solo un’anticipazione divenne concreta realizzazione attraverso l’opera del Crispi anch’egli originario di quel paese. Quei capitoli di Palazzo Adriano infatti ispirarono i suoi due lavori sulle autonomie locali in Italia e in Europa, pubblicati nel 1850 e nel 1852, ai quali egli uniformò la sua futura opera legislativa. Anche Don Sturzo fa riferimento a non poche delle sue concezioni politiche.

Ma l’opera del Crispi al livello da lui raggiunto, aveva alla sua base un impianto culturale che da Bessarione in avanti si era andato sviluppando e radicando in una serie di istituti di buon livello culturale che hanno accompagnato nei secoli la vita dei Greco-Albanesi di Sicilia e di Italia. Oltre al già citato S. Salvatore di Messina bisogna ricordare il Collegio Greco di Roma, la Badia di Grottaferrata, l’Istituto del Reres di Mezzojuso, il Collegio Corsini di S. Benedetto Ullano, poi trasferito a S.Demetrio Corone ed il Seminario Greco-Albanese di Palermo. Chi entrava in questo seminario trovava sul portone di ingresso lo stemma del Bessarione presentante due braccia incrociate che insieme reggono la croce, simbolo delle due Chiese, l’orientale e l’occidentale. Anche nei manoscritti composti e conservati in quel seminario quello stemma è frequentemente riportato. Ma quel che conta è che insieme allo stemma riemergono sempre le idee del Bessarione divenute guida della vita culturale di quelle colonie anche indipendentemente dal suo nome. Anch’egli aveva preso almeno alcune di quelle sue idee da dottrine e concezioni precedenti. Mentre per secoli la vita culturale dei Greco-Albanesi di Italia è ruotata attorno alla conservazione del loro rito bizantino e ai tentativi di avvicinamento ai fratelli separati delle Chiese orientali o anche alla conservazione prima della cultura greca in Italia e poi allo sviluppo di quella albanese e della relativa lingua e delle tradizioni folkloristiche e sociali, nel Seminario Albanese di Palermo, a partire dal secolo XVIII, emerse una nuova coscienza culturale. Paolo Maria Parrino, frequentemente detto il Gran Parrino, produsse una grande opera teologica, di alto valore scientifico, destinata ad avere grande influsso su tutti i Greco-Albanesi colti dei secoli seguenti fino all’importante enciclica di Leone XIII dal titolo “Orientalium dignitas”.

Lo seguono il Velasti ed il Chetta, il Vescovo Crispi e lo Schirò, il poeta Dara e lo statista Crispi e numerosi altri che hanno lasciato testimonianze di carattere teologico, filosofico, estetico, sociale, politico ecc. Tanti altri meriterebbero di essere conosciuti più di quanto non lo siano finora non solo per il loro intrinseco valore ma principalmente per la loro eredità affermatasi in Italia in tanti campi tra cui quello politico e giuridico come ora dirò.

E' necessario partire un po’ da lontano. Le istanze innovative e libertarie emerse nel profondo medioevo dall’Asia minora ad opera dei Bogomili, spesso né colte né equilibrate, non avendo potuto radicarsi nell’oriente cristiano, trovarono invece terreno fertile nell’Europa occidentale. Esse andarono serpeggiando per lunghi secoli in quelle regioni attraverso gli Albigesi, i Catari, i Fraticelli, gli Hussiti ecc. fino a quando riuscirono ad affermarsi in modo ampio e stabile nel Calvinismo, nel Protestantesimo di Lutero, nell’Anglicanesimo con concetti di grande religiosità tendenti tuttavia all’anticlericalismo, all’ateismo e al materialismo, come sviluppo logico dell’insito relativismo e soggettivismo come dimostrarono i conseguenti sconvolgimenti di vasta portata della rivoluzione francese e di quella russa, eredi lontane di quelle dottrine. Il Concilio di Firenze pur non avendo raggiunto l’intento dell’unione delle due Chiese, d’oriente e d’occidente, precisò tuttavia la loro perfetta concordanza teologica e dottrinale di fondo, esprimibile attraverso le formulazioni elaborate dalla cultura filosofica ed antropologica del mondo classico e medioevale greco e latino. Il concilio di Firenze servì come base e punto di partenza per le concezioni controriformiste del concilio di Trento, che distinsero bene le differenze tra cattolicesimo e protestantesimo. Intanto incombeva sempre la minaccia turca anche sull’occidente ora diviso tra cattolici e protestanti dopo che aveva travolto buona parte dell’oriente cristiano. Mentre il mondo protestante partecipò poco a questa lotta, il mondo cattolico riuscì discretamente a difendersi attraverso eventi e figure come Skanderbeg, Giovanni Hunjadi e S. Giovanni da Capistrano, Mattia Corvino, la battaglia di Lepanto e Giovanni III Sobieski e relativi popoli fino a quando l’impero Turco cominciò a decadere. Intanto si andò consolidando il mondo protestante. Allo scoppio della rivoluzione francese che presentava le istanze libertarie del protestantesimo ormai laicizzate, la chiara espressione di Pio IX puntualizzava bene la situazione che si era creata per i cattolici. Dalla rivoluzione francese in avanti, erano comparsi all’orizzonte “i nuovi Musulmani”.

 Gli eventi di questi due ultimi secoli di storia europea ed in parte anche mondiale si andarono sviluppando come tutti sanno.  Ricordiamo solo quello che successe nell’ambito della multiforme eredità di Skanderbeg e di Bessarione in Sicilia ed in Italia. Il grande impianto culturale messo su nel secolo XVIII nel Seminario Greco-Albanese di Palermo ad opera di Paolo Maria Parrino e dei suoi successori in parte riecheggiato anche dal calabrese Pietro Pompilio Rodotà e dal neo-greco Tommaso Velasti, ospite di quel seminario di Palermo, pochi decenni dopo produsse la potente figura di Nicolò Chetta. Si sapeva già che la filosofia transalpina da Occam in avanti aveva negato il valore del concetto ridotto ad un puro flatus vocis. Ne era anche conseguita la stessa negazione della filosofia dell’essere e quindi la filosofia transalpina si ricollegava all’antica sofistica, allo scetticismo e ad altre connesse concezioni che si andavano sviluppando, sempre in contrasto con la filosofia aristotelico-tomistica e col pensiero cattolico. Il Chetta come tanti altri, al tempo della rivoluzione francese, vide che quelle dottrine di origine protestante erano passate alla fase operativa con personaggi come Federico II di Prussia e Napoleone che le diffusero a vastissimo raggio. Tutto il mondo ne sembrava travolto, anche attraverso il seguente passaggio dalla fase borghese a quella proletaria fino alla rivoluzione russa. In simili frangenti ognuno cercava di fare quello che poteva e Nicolò Chetta ebbe la fortuna di avere dei seguaci che riuscirono, unici in Italia, a portare le sue intuizioni ad affermarsi a livello nazionale. La Chiesa di Pio IX e di Leone XIII era in grande confusione. Davanti a quella che sembrava l’apostasia dell’occidente Leone XIII si accorse che l’oriente non era stato travolto da quelle dottrine moderne, già fin recentemente nel 1864, ancora condannate nel Sillabo di Pio IX. Leone XIII si rivolse dunque a quell’oriente attraverso quello che aveva nella stessa Roma: la Badia di Grottaferrata e l’ambiente greco-albanese d’Italia che proprio in quel momento attraverso il Crispi la reggeva. I Greco-Albanesi di Sicilia, eredi di Bessarione e di Skanderbeg conservavano ancora intatto lo spirito di quell’oriente nella cultura classica, nel rito bizantino e nella tendenza a rendere operative le dottrine. Essi quindi sostituirono semplicemente ai Turchi di una volta “i moderni Musulmani” cioè gli esponenti delle moderne culture. Per il resto come lo stesso oriente rimanevano ancora fermi oltre che nella cultura classica anche nei suoi più recenti sviluppi tomistici certo multiformi, non sempre da essi ampiamente trattati, ma certo solidamente conosciuti.

 Tutti questi temi ormai da vari decenni li dibattevano in contrapposizione alle moderne dottrine, con varie riviste e giornali, specialmente in ultimo attraverso “La Riforma” del Crispi di tiratura nazionale e dalla vita trentennale che riuscì a far chiudere perfino il giornale che era stato di Cavour dal titolo “L’Opinione”, e riuscì a portare il Crispi al governo dell’Italia per uno dei più lunghi periodi di durata dei governi della sua storia.

Da ora in avanti conseguirono tanti altri fatti che ormai da alcuni decenni mi sono impegnato quanto meno ad andare delineando dal punto di vista albanologico non potendo da solo affrontarli tutti ed approfondirli. Tanti colleghi mi hanno spesso detto che si tratta di temi difficili da trattare e più difficili ancora da far accettare. Sostanzialmente si tratta di cultura e di letteratura greco-albanese in lingua italiana ed anche di storia greco-albanese d’Italia interferente con quella italiana ed oltre. Alcuni colleghi si occupano di linguistica o di folklore o di letteratura formalistica o di altre cose simili. Ci sono anche coloro che non vedono chiaro se di questi argomenti che riguardano la cultura, la storia e la civiltà italiana e non solo, se ne debbano occupare gli Italiani considerando tutto italiano o germanico, come sarebbe meglio dire, o se se ne debbano anche occupare i Greco-Albanesi di Italia tra i quali quegli eventi sono sorti per appartenenza dei protagonisti, per cultura e per organizzazioni sociali e dai quali in buona parte sono anche stati portati avanti. Principale erede di Crispi nell’ambiente greco-albanese di Sicilia fu l’arciprete Giovanni Alessi, che con la sua “Lega Cattolica” organizzò i primi scioperi cattolici di Italia nel 1901, ovviamente pacifici come quelli del ramo crispino dei Fasci Siciliani nel 1893. La stessa Lega Cattolica dell’arciprete Alessi andò ad aiutare Don Sturzo nei suoi scioperi cattolici e pacifici del 1904, a Caltagirone, con Mangano, Rostagno, Lo Cascio e tanti altri. E Don Sturzo riconobbe l’arciprete Alessi come suo maestro e disse che: “La Democrazia Cristiana ancora bambina a Palazzo Adriano diventò adulta” (vedi “Croce di Costantino”, 1901, in Gabriele De Rosa, L’Azione Cattolica, capitolo I). Quando poi Don Sturzo, dopo gli avvenimenti riguardanti il suo Partito Popolare fu mandato in esilio, furono ancora i Greco-Albanesi d’Italia a sostenerne l’opera, con collaboratori quali il Cardinale Luigi Lavitrano o Mons. Eugenio Pacelli, poi Pio XII, attraverso il grandioso movimento delle Settimane Orientali, tra religioso e politico, di rilevanza internazionale. A causa di esso Paolo VI che ben ne conosceva la valenza religiosa e politica disse che i Greco-Albanesi di Italia erano stati “tramite di alleanze e collaborazioni tra popoli e anticipatori del moderno ecumenismo”, seguendo ancora la scia della conoscenza dell’oriente e del tentativo di unione delle chiese con conseguenze non solo religiose ma anche sociali e politiche.

Al tempo della democrazia cristiana, quando il comunismo in Italia sembrava avviarsi a trionfare, l’onorevole Violante in una conferenza tenuta all’Università di Palermo disse che il comunismo italiano non è Marx ma Gramsci. E Gramsci non fece mistero delle sue recenti origini albanesi e del collegamento della sua famiglia coi Greco-Albanesi d’Italia.

Nello stesso periodo anche l’economia italiana cominciava ad essere in buona parte nelle mani di Mediobanca e di Enrico Cuccia anch’egli greco-albanese originario di Mezzojuso, quando qualcuno lo chiamò “il padrone dei padroni d’Italia” e disse che “l’Italia era una bagneruola troppo piccola per un pesce troppo grande”. Quando gli eredi di Crispi e di Sturzo e quelli di Gramsci reggevano l’Italia, avvenne l’ultimo fatto rilevante che vogliamo ricordare. Protagonista nella stesura della bozza della Costituzione Italiana e non secondario sostenitore della sua approvazione fu Costantino Mortati, albanese di Calabria, il cui cognome significa “zia paterna”, alunno del collegio di S. Demetrio Corone in un periodo molto tormentato quando furono rettori di esso due vescovi di valore: Mons. Giuseppe Schirò e Mons. Giovanni Barcia. Del primo di essi il Beato Giovanni XXIII disse che era stato un nuovo S. Giovanni Crisostomo. A proposito della Costituzione Italiana, della sua rilevanza a livello internazionale e delle sue radici culturali e filosofiche ognuno può chiedersi a quali origini possa collegarsi. Certo il Mortati, già famosa e grande autorità giuridica, frequentava il collegio Greco di Roma e non si rifiutava, di tenere qualche conferenza nell’annesso circolo culturale “Besa” di Mons. Francesco Eleutero Fortino, fratello del Prof. Italo qui presente. Nostro obiettivo ormai da alcuni anni è di vedere se troviamo studiosi più o meno giovani che vogliano vedere se i dati e le intuizioni che presentiamo abbiano più o meno solido fondamento, come noi sempre cautamente e in forma di ipotesi, ci andiamo sforzando di dimostrare.

 

 

BIBLIOGRAFIA

NOTA: Nei lavori che qui segnaliamo è indicata la documentazione e la bibliografia essenziale su cui ci fondiamo per la trattazione dei temi qui presentati.

Parrino I. Da Crispi a Sturzo nella storia di Palazzo Adriano, S. Stefano Q. 1995.

Parrino I. Oriente d’Italia , Dispensa ad uso degli studenti dell’Università di Pa.

Crispi F. Componimenti Poetici (Cartolare), S. Stefano Q. 1995

La Mantia G. I Capitoli delle Colonie Greco-Albanesi di Sicilia dei sec.XV e XVI,

                Palermo 1904.

Parrino I. Gli ultimi due secoli di storia letteraria e civile inedita di Palazzo Adriano, Palermo 1982.

                (V centenario della fondazione)                                             

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