Giugno 2020

-7- EX NIHILO SUI ET SUBIECTI ( dal nulla di sè e del soggetto)

“Qua sotto qualcosa c’è sicuramente. Il difficile è spiegare perché funziona, perché bisogna pur darne una spiegazione scientifica”

 

Ma il Prof. Francesco Costanzo, autore del piccolo periodo qui sopra scritto, cominciò presto a rendersi conto di ciò che c’era sotto. L’ultimo perché del funzionamento della leva non si può capire, nè si può capire la pseudo-legge che la contrasta. Infatti essa è esclusivamente un oggetto creato contro il quale nessun principio di conservazione dell’energia può valere. La leva è come è, e basta, e la piccola legge detta d’oro che la contraddice è una chiacchiera vuota della quale si dimostra facilmente il contrario.

È sintomatico il caso della ruota. Essa esiste da più di quattro mila anni, ma pur essendo un congegno utilissimo, a quanto pare, nessuno si dedicò finora a conoscerla profondamente. Si tratta di un congegno alquanto complicato che si andò formando inconsapevolmente un po' alla volta, ad opera di persone spinte da singole e occasionali necessità, come si vede in alcune opere d’arte a sbalzo lasciate dai Sumeri e dagli antichi Egiziani. Infatti non si dice a voce né si trova scritto nei libri come essa funzioni e come dia un enorme aiuto al trasporto di pesi. La ruota è una raggera di leve collegate insieme che formano al loro centro un buco nel quale si infila il loro asse. L’altro lato della raggera di leve è collegato da un cerchio più o meno ferrato che ruotando sul suolo costituisce a turno il fulcro di ogni leva che fa appoggiare sul suolo il peso che sopporta e lo rende quasi in caduta continua ruotando in cammino. Il braccio della resistenza di ogni leva è dato dal tratto di circonferenza che la collega all’altra leva ad essa adiacente in salita o in discesa mentre si identifica col fulcro camminando in pianura. Il braccio della potenza invece è dato dall’asse che spinge i singoli raggi della ruota nel corso della loro rotazione. Quindi la ruota è un derivato della leva, ma anche questa da quando ha cominciato a conoscersi? La più antica notizia che mi è capitato di incontrare è quella dell’acuta osservazione del re degli Ebrei Davide riportata nel suo salmo N° 61,10 nel quale parla della bilancia che è pure una leva. Non so però se l’asse che costituisce i due bracci della bilancia era pure conosciuto in forma di leva comunemente usata in quel tempo come strumento di lavoro. Colui che la cominciò a studiare profondamente, e ne evidenziò una buona parte dei vantaggi che offre, fu il greco Archimede di Siracusa, circa mille anni dopo Davide. Da allora sono passati altri due mila anni senza che essa sia stata più scomodata per altri usi oltre a quelli da Archimede segnalati. Ci sono finora perfino molti dubbi su quello che intendeva dire con la sua notissima frase circa la possibilità da lui indicata di potere muovere il mondo se si trovasse un fulcro idoneo. Poteva essere il fulcro reso girevole su un asse quello che cercava Archimede? Ci sarebbe da controllare se il vantaggio dato da tutte le ruote che camminano nel mondo rispettino o no il principio di conservazione dell’energia soltanto affermato, tenendo presente che l’energia è qualcosa che può formarsi per mezzo della materia ma non è la materia in se stessa, eccetto il caso della sua più intima costituzione a livello atomico o subatomico. Ma chi l’ha racchiusa nei singoli atomi?.

Ci sarebbe pure da vedere se quel principio fu formulato da Lavoisier nel modo come si presenta cioè: “niente si crea e niente si distrugge” o come egli stesso riuscì a dimostrare nel caso della formazione di prodotti chimici, o se fu lui stesso a commettere l’imprudenza di estenderlo a tutte le altre scienze che pure finora si sono andate sviluppando.

Contro queste ipotesi c’è in primo luogo la legge naturale del pensiero umano che ha una funzione corrispondente alla precisa necessità di indicare esattamente ciò che esso vuol dire in riferimento alle caratteristiche dell’oggetto di cui si vuole parlare. La filosofia e la teologia scolastica fin dall’inizio del nostro secondo millennio hanno precisato che ogni cosa non esiste da sé, né è una parte del soggetto che la crea. Cioè non può farsi da se stessa né è una realizzazione panteistica quasi come una parte dello stesso Dio creatore. Si aggiunga che le stesse lingue di tutti gli uomini e dei popoli fin dal loro inizio hanno formato il loro linguaggio con la seguente struttura logica e quasi mai si era sentito dire che niente si crea ed il Creatore non esiste. Si dice invece che in primo luogo c’è il soggetto di ogni proposizione che non crea, ma lavora e facilita l’organizzazione del mondo, segue il predicato o verbo che indica ciò che viene fatto, ed in ultimo c’è il complemento che indica la cosa detta o fatta e così si completa la frase. Tutto questo ragionamento scritto concretamente e concisamente è indicato dalla frase latina riportata nel titolo la quale espone esattamente cosa sia la creazione del mondo e dell’universo fatta da Dio come detto qui sopra. Il Prof. Francesco Costanzo dopo il primo imbarazzo causatogli da un congegno funzionante che dava un risultato contrario a ciò che sembra dire qualche legge della fisica di per sé mal connessa e contraria alla cultura plurimillenaria di gran parte dell’umanità, come suol dirsi, prese il coraggio a due mani e si decise a dire: “qua sotto qualcosa c’è sicuramente” e cosa siano quelle leggi della fisica che sono indimostrabili e mal connesse davanti ad un esperimento elementarissimo che può ripetersi infinitamente davanti a chiunque voglia vederlo. Quelle pseudo-leggi certamente “cadono” e l’una o l’altra se ne vanno a “carte quarantotto”. Lui stesso rimase un po' intimorito davanti a questo incredibile risultato e si rifiutò di volerne affrontare la diffusione e disse che essa doveva essere affrontata dal sottoscritto che l’aveva ottenuto e per primo realizzato alquanto maldestramente, cosa che egli stesso subito provvide a rimettere nel giusto sesto, dicendo: “che a tempo e luogo opportuno non si sarebbe rifiutato di confermare di aver detto queste cose”. La battaglia che si prospettava sembrava quanto mai aspra e pericolosa come disse egli stesso e anche qualche altro. Ma questo pericolo per chi aveva ideato quel congegno che del resto non è nemmeno studioso della materia, ma semplicemente poco più di un autodidatta non è proprio mai comparso, però ha sempre suscitato infinite discussioni.

Ma non c’è niente da discutere, perché “contra factum non valet argumentum” (contro il fatto non vale l’argomento) semplicissimo e del tutto elementare, a vergogna di tutta l’umanità che ha lasciato passare vari millenni senza accorgersi per niente di una realtà tanto semplice che costituisce uno dei più grandi aiuti che Dio ha voluto dare all’uomo per facilitare il suo lavoro. Esso deriva dall’energia di attrazione della terra altrimenti meno esattamente detta “forza di gravità”, da utilizzare in forma statica, come risultato dell’equilibrio che si può creare dall’opposizione tra due forze uguali e contrarie, una agente e l’altra resistente delle quali, poco dopo, quella agente debba prevalere di poco come avviene con la carrucola.

Ma contro tutte queste idee, alla fine del secondo millennio, sono comparsi tanti modi di pensare che francamente fanno meraviglia, eppure si sono diffusi a vastissimo raggio e sono finiti con rivoluzioni terribili e guerre mondiali spaventose, indegne dell’umanità. Esse però sempre presto sono scomparse e vanno scomparendo, a differenza delle sane dottrine che durano nei millenni, e mai scompaiono, come è accennato qui sopra.

Il grande equivoco logico di questi avvenimenti fu supposto e mostrato dalla frase che dice: “niente si crea e niente si distrugge ma tutto muta”, nel cosi detto “principio di conservazione dell’energia”. Essa originariamente sembra difficile che sia stata proposta dallo stesso Lavoisier anche se lui la individuò nel corso delle sue realizzazioni chimiche. Ma egli doverosamente avrebbe dovuto citarle. Invece ci furono altri o lui stesso che trasformarono il significato di quella frase in una piena affermazione di materialismo e di ateismo. Però sembra difficile che un uomo di scienza possa pronunziarsi così sicuramente su un argomento che non è di sua competenza e presentare il famoso: “niente si crea….”.

Altrimenti sorgono tante ma tante complicazioni di cui ognuno più o meno incautamente crede per conto suo di potere essere sicuro affermando o negando. Quella frase così più che scientifica diventa un pronunziamento filosofico e teologico.

Alcuni comunque, facendo leva su quella incauta formulazione, trovarono un incoraggiamento per affermare che non c’è né spirito, né anima, né pensiero, né libertà, né Dio, né morale, ma la sola materia che viene con quella frase dichiarata eterna.

Quando nella metà del secolo XVIII cominciarono a svilupparsi tutte le moderne scienze con relative psicologie, si arrivò alla rivoluzione industriale, all’empirismo, al positivismo e al materialismo, dichiarate dottrine ampiamente diffuse tanto che nemmeno la negazione del pensiero fatta da Occam aveva ottenuto tanto successo in circa cinque secoli. Questi aveva detto che il pensiero è un puro “flatus vocis” una emissione di un fiato di voce ossia una inutile chiacchiera. Quella dottrina però, fin dal XVII secolo aveva cominciato a diffondersi prevalentemente nell’Europa nord occidentale dalla Germania alla Francia e fino all’Inghilterra e in tanti altri Stati da esse influenzati. Dante l’aveva quasi profetizzato a proposito dello “schiaffo di Anagni” contro Bonifacio VIII con parole che non hanno uguali: “Veggio in Alagna entrar lo fiordaliso,….”.

Si cominciò a pensare che tutte le moderne scienze ed i loro autori dall’empirismo al panteismo ecc. erano i Padri non santi della moderna cultura in opposizione ai Santi Padri e Dottori della Chiesa, ognuno di essi, per il suo verso, consacrati dalla storia.

Continuano ora ad opporsi non a tutte le nuove scienze ma alle loro deformi interpretazioni, le antichissime dottrine e culture che ormai si può dire che siano cominciate in Palestina con Abramo circa quattromila anni fa e poi diffuse dall’Europa sud occidentale assieme all’antica Grecia e all’Impero di Roma e alla fede sviluppata in Palestina dall’Antico e dal Nuovo Testamento, ed anche dai paesi Arabi e, a modo loro, anche dai paesi dell’Islamismo, alle religioni dell’Asia.

Il secondo millennio si conclude con personaggi come Hitler e Stalin per il loro verso e con altri come Krusciov che concluse la sua vita secondo l’antichissima tradizione bizantina ricordata anche dal Manzoni con la figura di Fra Cristoforo, girando per le strade di Mosca chiedendo in elemosina il pane del perdono. Anche Gorbaciov ebbe uguale importanza essendo anche lui come Krusciov di famiglia cristiana. Egli disse per eredità da suo nonno che tutta quella politica del materialismo e delle dittature “era stata tutta un inganno”.

Sono a questo punto anche da ricordare alcune figure greco-albanesi ed altre ad esse vicinissime dello stesso tipo di cultura, come Crispi e Mortati, l’Arciprete Alessi ed il suo seguace Don Sturzo e tra molti altri anche i tre papi finora canonizzati: Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II, tutti antesignani e sostenitori della fede e della democrazia conseguente.

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-10- Psicologie delle Dottrine e degli Avvenimenti - Premessa, cap I, II e III

PREMESSA

 

La meraviglia

Sapersi meravigliare. Di che cosa? Quando ero ragazzino avevo sentito dire che “bisogna sapersi meravigliare”. Ma io non mi meravigliavo di niente e non capivo nemmeno di che cosa ci si potesse meravigliare. Quella frasetta mi rimase per lunghi anni in mente come un problema per me incomprensibile che mi disturbava. Perciò ogni tanto mi cimentavo con essa, dato che era stata presentata come un dovere essenziale o almeno importante per l’uomo. Si usa pure dire che la curiosità, non dei pettegolezzi, ma dello sviluppo della mente umana riguardo a qualsiasi tipo di ricerche, è la madre delle scienze. Con essa, osservando, si prende contatto con tutto ciò che ci interessa, sia all’esterno che all’interno di noi stessi. E quest’ultima capacità, che è esclusiva dell’uomo, lo mette perfino davanti a sè come un oggetto della sua riflessione.

La meraviglia scatta non quando l’uomo osserva, ricerca e indaga, ma quando comincia a capire almeno qualcosa, fin dove può arrivare, dal filo d’erba fino al cervello umano e si accorge che molte cose sono difficili da capire o sono addirittura incomprensibili. 

 

Il pensiero

        Perciò un antico celebre uomo, circa 2400 anni fa, vide che l’essenziale ed esclusiva capacità dell’uomo che lo caratterizza in confronto con tutto il mondo minerale, vegetale o animale, non è soltanto il pensiero che forse potrebbe pure essere inconscio, e disse che è “il pensiero del pensiero”, il pensiero che pensa se stesso. In altri termini è il pensiero cosciente di se stesso e di tutto ciò che lo circonda. E dove può arrivare la mente umana? Chiunque crede di poter dare una risposta a questa domanda, ma la cosa non è tanto semplice, anche perché le forme del pensiero sono molteplici e si indicano con vari nomi, secondo la gradazione della sua consistenza. Esso perciò si può chiamare sogno, illusione, fantasia, ipotesi, dubbio, falsità, inganno, errore e tante altre cose simili, ma anche verità, ragione, conoscenza, ricordo, coscienza, che prende anche la forma di certezza, progetto, decisione in tutte le quasi infinite manifestazioni in cui si è presentato nel corso della storia umana; e così si presenta e si presenterà finchè dura l’umanità. Essa può regolarsi grazie a questa sua essenziale capacità di pensare con la quale ha perfetta coscienza che essa può comprendere il suo oggetto nelle varie forme e realtà in cui si presenta. E perciò si dice che, nelle debite condizioni, essa “non erra”, altrimenti non avrebbe pensiero e non potrebbe guidare l’esistenza umana e, se non la guida, essa sarebbe uguale a quella vegetale o animale. Difatti si dice pure che l’uomo è un “animale”, ma non uno qualsiasi, ma quell’unico che è “razionale”. E dove può portarlo il suo pensiero? Perché due sono le strade possibili.

 

Sentimento ed emozioni

       Invano si può anteporre alla razionalità il sentimento o l’emozione pur con tutta la loro eccellenza, perché se essi non sono guidati dal pensiero e dalla ragione facilmente finiscono con l’essere soltanto un inganno. Senza quella razionalità il sentimento sicuramente rimarrebbe soltanto come quello degli animali che pure hanno loro interessi, sentimenti e passioni. E l’animale sa meravigliarsi? L’uomo può ammirare e studiare tutto l’universo sia materiale che spirituale, con grande gioia e meraviglia, e può trovarlo pieno di misteri; ma l’animale non si accorge nemmeno di ciò che di misterioso è dentro se stesso. E così l’uomo se non usa per bene il suo pensiero, finisce per identificarsi con l’animale, e annulla pure la sua coscienza, buona o perversa.

 

Teoria e pratica

         Le cose che stiamo dicendo non hanno la pretesa di essere nuove. Esse vengono segnalate soltanto come base indispensabile su cui necessariamente fondare ogni ulteriore riflessione sia teorica che operativa. E questa si che almeno per certi aspetti, potrebbe essere nuova e richiede impegno e fatica. Eppure o non se ne parla affatto o non capita facilmente di sentir dire che il comportamento ed il pensiero umano, frutto di quella riflessione, siano proprio sempre coscienti, pur potendo esserlo. E questa è la meraviglia delle meraviglie.

    Facciamo qualche esempio. Il bambino che sta dentro il seno materno ha almeno una sua abitudine alla posizione a testa in giù nella quale si trova. Appena nasce comincia a rendersi conto che essa è cambiata perché i suoi genitori o i loro aiutanti l’hanno messo in posizione orizzontale, e cerca di riprendere quella a cui si è abituato, sicuramente senza riuscirci, finchè si rende conto che come ora l’hanno messo sta ugualmente bene. Di questo complesso di circostanze alcuni conservano un inconscio ma nitido ricordo, fino a quando diventati più o meno adulti, capiscono il significato di esso. Già qualche minuto dopo la sua nascita, il bambino come tutti i mammiferi ed anche gli uccelli e certo qualunque essere che mangi, appena nato, cerca di mettere qualcosa in bocca e quando lo trova, o il capezzolo della mamma o anche il biberon del suo latte o il suo stesso ditino, subito comincia a succhiare o apre la bocca. Dopo un po’ nota le cose o le persone che gli stanno attorno ed anche il tono delle loro voci o il vario movimento delle loro braccia, poi scopre le sue proprie mani e i suoi piedini e poi comincia per lui stesso o per chiunque nasce, uomo o animale, la lunga serie delle scoperte di cui talvolta continua a conservare un inconscio ricordo, ma più spesso non se ne ricorda affatto, perché abitualmente i ricordi del bambino non cominciano prima dei suoi tre o quattro anni o forse anche cinque. Ci vogliono vari anni prima che egli pur disponendo di una normale intelligenza come quella di ogni altro uomo, cominci a prendere chiara coscienza delle cose che vede, tocca e incontra, magari con sua grande curiosità, ma di nessuna di esse si meraviglia, perché le considera in genere cose comuni e naturali senza porsi nessun perché. E questa fase può durare a lungo per pochi o molti uomini o per secoli, e talvolta anche per tutta la vita di gran numero di uomini, fino a quando qualcuno comincia a porsi qualche perché o empirico o mitologico o leggendario o anche riflesso. Chi per primo comincia a porsi o esprimere qualcuno dei possibili perché, facilmente viene per sempre ricordato e spesso considerato un grande uomo anche se dice sciocchezze o semplici intuizioni, che poi altri magari a distanza di secoli cercano di precisare o di correggere. Così si può anche arrivare ai grandi perché. Ma non è facile che dei relativi problemi si arrivi a darsi delle attendibili soluzioni. E le cose che possono attirare la curiosità sono praticamente infinite. Figurarsi così se può mai esaurirsi la curiosità o se può guardarsi ogni cosa con cosciente meraviglia sia che possa darsi o non darsi una qualche valida risposta. In fondo ognuno potrebbe sempre chiedersi: come è fatta questa o quella cosa? E questa stessa domanda corrisponde al patrimonio mentale di ognuno, formatosi sulla base della constatazione che ogni cosa, anche se sembra che si faccia da sola come la foglia dell’albero o il bambino dentro il seno materno, non può tuttavia farsi da se stesso, se di quel se stesso non ha nemmeno coscienza.

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